Nel 1951 dopo un anno di occupazione, la più lunga nella storia del movimento operaio italiano, le Officine Meccaniche Reggiane vengono chiuse. I quasi 6 mila operai licenziati, in un territorio, quello del Reggiano dove la disoccupazione nel primo dopoguerra è drammatica. Migliaia di famiglie finiscono in miseria, molti operai saranno costretti ad emigrare per cercare di sopravvivere, chi può cambia mestiere.
La storia delle Officine Meccaniche Reggiane si snoda attraverso un secolo complicato da due Guerre mondiali, attraversate dall’avvento del fascismo e dall’occupazione nazista. Le Reggiane che avevano rappresentato per oltre un ventennio una risorsa, con la fine della guerra devono riconvertire la produzione da bellica (avevano costruito aerei per il Regime e proiettili soprattutto) a produzione di pace. Ma non è facile.
La struttura industriale di una fabbrica che era sempre stata autosufficiente e non inserita nel contesto industriale dei grandi stabilimento del Nord Italia non aiuta. In più, l’obbligo di assumere ex- partigiani, reduci e combattenti come misura per calmierare la disoccupazione, rende difficile l’equilibrio finanziario di una fabbrica che deve trovare una nuova vocazione.
Quando nel 1950 la Direzione delle Reggiane, spedisce 2000 lettere di licenziamento (di fatto la metà della forza lavoro occupata) gli operai insieme alla CGIL decideranno di occupare lo stabilimento: vogliono dimostrare che è possibile riconvertire la produzione e decidono di costruire un trattore, simbolo del rapporto tra industria e agricoltura. Ci riusciranno, ma dopo un anno di miseria e senza vie di uscita saranno costretti ad accettare una misera liquidazione. Il trattore si chiamerà R60. Dei tre prototipi costruiti, non ne verrà mai prodotto nessuno. Durante l’occupazione due giovani operai composero La canzone dell’R60 che potete ascoltare qui.
In questo racconto le voci dei protagonisti di allora.